Storie calabresi: il cardiochirurgo ai margini e la sanità blindata
La cardiochirurgia ha sempre avuto un fascino speciale. Argentino di origini italiane, René Favaloro mise a punto la tecnica del bypass aorto-coronarico sul finire degli anni Sessanta. Poi si uccise. Il governo gli impedì di curare i malati, durante la crisi economica che nel 2000 piegò l’Argentina. Favaloro si sparò un colpo al cuore, narra con emozione il documentario Golpe al corazón.
di Emiliano MORRONE
Il potere spesso non capisce, mortifica, lacera e perfino distrugge. Negli ultimi anni, Ettore Vitali, un mago dell’assistenza meccanica al circolo, lasciò la direzione del dipartimento cardio-toracico dell’ospedale Niguarda di Milano. Andò nel privato, all’Humanitas Gavazzeni. Disse che in Lombardia la politica intralciava il lavoro dei medici, obbligando i primari a riunioni estenuanti e inutili. Vitali, che operava con una protesi alla gamba, decise poi di ritirarsi. A un giornale della sua Brianza denunciò che il mestiere del chirurgo poteva dirsi finito, a causa delle politiche sanitarie che tagliano tutto, iniziando dalla formazione.
Oggi i trapianti di cuore sono diminuiti. Gli organi “buoni” non sono più disponibili come prima, benché l’Italia offra maggiori garanzie nei controlli di compatibilità. La cardiochirurgia va verso la riduzione dei segni sul corpo; la tecnologia aiuta la pompa cardiaca.
Ci sono posti, però, in cui tutto scorre diversamente ma nessuno vede, pare. Per esempio in Calabria, dove la distribuzione dei reparti di cardiochirurgia diventò un elemento di propaganda politica dal 2004.
Allora il piano, se così possiamo chiamarlo, prevedeva una moltiplicazione delle strutture, come se fosse risolutiva. Intanto cresceva l’emigrazione sanitaria dalla regione, poi contenuta dalla frenetica attività di Mauro Cassese, cardiochirurgo e abile manager di se stesso. «Così, in un dato momento – racconta il professor Attilio Renzulli (nella foto più in alto, nda), del quale parleremo – ci ritrovammo a coprire le esigenze del territorio». Lo facevano due centri di cardiochirurgia, entrambi a Catanzaro: l’università, sotto la guida di Renzulli, e la clinica Sant’Anna, con l’équipe di Cassese. Tuttavia, già allora la politica provò ad affossare l’opera di Renzulli, levandogli infermieri, risorse e pace.
«Agazio Loiero, Piero Aiello, Wanda Ferro, Sergio Abramo e Domenico Tallini puntarono su quel privato – prosegue Renzulli con ferma lucidità, ironia e amarezza insieme –, che come oggi non aveva problemi di denaro, al punto da pagare a peso d’oro una consulenza a Benedetto Marino, professore di cardiochirurgia alla Sapienza di Roma. Iniziarono quei tipici movimenti della politica che fiuta le opportunità e scorda presto il bene comune. Ne ricevetti colpi bassi e ripicche verso il reparto, ridotto in ogni senso». «In più – rincara Renzulli, citando l’incipit del canto dantesco di Ugolino (“tu vuo’ ch’io rinovelli; disperato dolor che ‘l cor mi preme; già pur pensando, pria ch’io ne favelli”) –, nell’università (di Catanzaro) c’era una difesa viscerale delle rendite. Il rettore Venuta era un visionario, comunque lontano dai giochi di potere. Puntò tutto sul polo oncologico della Fondazione Campanella, gestito in modo clientelare dal dg Antonio Belcastro e dal direttore sanitario Caterina De Filippo, dirigenti buoni per tutte le stagioni, i quali per compiacere la politica reclutarono personale a raffica e oggi stanno ai piani alti dell’ospedale universitario Mater Domini (rispettivamente commissario straordinario e ds, nda)». «L’arrivo del rettore Aldo Quattrone, candidato unico, è servito – spiega Renzulli – a modificare equilibri di potere, tanto che le elezioni dei vertici dipartimentali si tennero, poi, col nome dei candidati già stampato sulla scheda».
Il “povero” Renzulli lamentò un ostracismo della politica catanzarese verso la cardiochirurgia universitaria. Scrisse, chiese una terapia intensiva dedicata ma restò inascoltato. «Come poteva un professore associato disturbare così tanto la quiete dell’ateneo e ledere la maestà degli ordinari?», s’interroga Renzulli mordendo il panino gommoso di un locale senza parte, se non fosse per l’insegna gigante. «Da rettore, Venuta si era nominato primario di oncologia, ma non soffrì di brama di potere. Lo prova la casa in cui ancora vive la famiglia. Quattrone non salutava nessuno, prima della sua elezione a rettore. Questo aspetto sembrava una garanzia. Eletto, invece, cominciò a “tramare” con la politica, a partire da Piero Aiello, e a saldare alleanze con (Bruno) Amantea, (Rosario) Sacco e (Ciro) Indolfi, l’uno direttore della terapia intensiva, l’altro della chirurgia generale, l’ultimo della cardiologia». «A nessuno – rimarca Renzulli – importava dei problemi conseguenti alla mancanza di una terapia intensiva dedicata. I pazienti cardiochirurgici venivano esposti a grossi rischi»; il che emerge pure in una richiesta di interventi del 5 febbraio 2013, firmata per Renzulli dall’avvocato Francesco Pitaro e indirizzata ai vari responsabili, compreso il commissario governativo per il rientro dal debito sanitario regionale, allora Giuseppe Scopelliti.
Nel documento si legge di «n. 6 casi di sepsi grave su n. 60 pazienti operati con una incidenza del 10% ed una mortalità del 5%». Infine non succede nulla, tranne l’estromissione improvvisa del cardiochirurgo, di colpo rimosso dall’incarico di primario, proprio durante il suo ricovero nello stesso ospedale dell’università, il Mater Domini.
Renzulli aveva avviato la cardiochirurgia dell’università, prima che il reparto fosse allocato nella nuova, maestosa struttura voluta dal rettore Venuta. Renzulli ci aveva lavorato sudando, resistendo agli attacchi della politica, tutta spinta sul privato, e compiendo diversi miracoli laici, quelli che fanno onore e storia. Da chirurgo superò ostacoli impensabili, in quell’angolo di Sud condizionato da vecchie logiche e limiti d’azione. Non meritava, dunque, un trattamento tanto barbaro e meschino, al di fuori della civiltà, prima che delle regole.
Come non pensare a un’azione premeditata, intenzionale e corale, a uno di quei lampi di cattiveria che arrivano per liberarsi di un personaggio scomodo quando è più indifeso? Speriamo che ci risponda Quattrone, che ci dia la versione da rettore, qui attesa nel rispetto del pluralismo.
Il resto è storia di carte, ricorsi, visite mediche a oltranza, rimpalli burocratici e affronti che Renzulli deve subire, mentre viene sostituito con Pasquale Mastroroberto, «diventato associato – sostiene Renzulli – grazie ai buoni rapporti con il professor Elvio Covino, che stava nell’apposita commissione, e alle pubblicazioni scientifiche fatte insieme a me».
Io non dubito della professionalità di Mastroroberto, ma suona strano, di là da leggi e diritto, che faccia il primario della cardiochirurgia universitaria catanzarese e il direttore della relativa scuola, pur privo della specifica specializzazione. Mastroroberto è invece specializzato in chirurgia toracica, «e non ha continuato – racconta Renzulli – a impiantare i vad (dispositivi di assistenza ventricolare), indispensabili per aiutare i cardiopatici in attesa di trapianto».
Questa vicenda dei vad è importante. Chi in Calabria necessita dello specifico apparecchio deve recarsi al Nord o comunque fuori regione. Talvolta muore anzitempo. «Fui il primo a impiantarne a Sud», rivela Renzulli, tra commozione e rabbia. «Ora da noi non si fanno più questi interventi, né vengono seguiti quei pazienti che operai negli anni scorsi».
Lo ribadisce un signore di Locri, che denunciò d’essere stato dimesso dal Mater Domini con un valore di emoglobina pari a 5. In attesa di un cuore nuovo, l’uomo difende Renzulli, che gli ha regalato altri cinque anni di vita dall’applicazione del vad. Un vero record, che rischia di vanificarsi – lascia intendere il paziente – «perché il nuovo primario non mi vuole in cura».
A riguardo forse sarà stata compiuta una scelta sanitaria generale. Fatto sta che nel sistema calabrese non c’è posto, adesso, per cardiopatici così “avanzati”. Partire è l’unica possibilità, se ci sono i soldi. «Intanto – testimonia Renzulli – il complesso di cardiologia di Indolfi “brucia” milioni delle risorse in eccesso che arrivano al Mater Domini, con altissime spese per materiali consumabili, non soggetti a inventario». «Venuta – dice Renzulli – aveva capito che su Mater Domini non poteva nulla, visti i risaputi condizionamenti ambientali in Calabria. Creò la Campanella, dunque, per avere più risorse e possibilità di movimento».
Questa dichiarazione fa riflettere molto e, assieme ad altre riportate, obbliga a contenere l’enfasi sull’università e il suo ospedale, recentemente tornata di moda. «Venuta – conclude Renzulli – è morto proprio a Catanzaro». Lì era il suo sogno, il suo mondo surreale, la magniloquenza degli edifici che ne abitavano l’immaginario e che poi riuscì a far sorgere. Pur se la sanità ha più bisogno di personale, di coscienza politica e di giustizia giusta.
[…] Tale richiesta nasce per l’importanza della vicenda, attuale, della specialità di cardiochirurgia del sistema sanitario regionale della Calabria e, soprattutto, in seguito ad alcune recenti dichiarazioni dell’ex primario dell’unità operativa, il professor Attilio Renzulli, contenute in una lunga intervista che potete leggere qui. […]
…..nonostante le denunce continuano….e sky non ha visto le rianimazioni vuote …http://video.sky.it/news/economia/catanzaro_ospedale_congestionato_e_policlinico_vuoto/v245249.vid
Posso solo dire che il Prof . Renzulli è persona affidabile,sicuramente competente come attesta il suo curriculum vitae e di carattere indomito.
Insomma un professionista a cui affidarsi con tranquillità.
Persona non adusa a tramare nell”ombra.
Intelligendi pauca.
Nella sanità Calabrese, la coscienza politica, giustizia, aspetti umani e cura per l’ammalato non sono questi gli obbiettivi dei politici Calabresi che hanno fatto della Sanità Calabrese un contenitore di intrecci di interessi che certamente non sono finalizzati alla buona sorte dell’Ammalato. I pochi operatori Sanitari che cercano di svolgere con alta professionalità il loro mestiere vengono costretti all’emarginazione per poter continuare i soliti intrallazzi a discapito dell’AMMALATO.