San Giovanni in Fiore, quel miracolo degli Svapurati Folk
Ieri, 1 giugno a. D. 2017, è stata la prima giornata di annuncio vivo dell’estate, a San Giovanni in Fiore. Tiepida eppure celebrata dall’aria silana della sera. In giro non c’era nessuno, ma tra due bar di via Roma suonavano per la via, salendo dall’Angelo, gli “Svapurati Folk”, gruppo che funziona proprio bene.
di Emiliano Morrone
Avevo un appuntamento non galante con l’immancabile consigliere comunale Antonio Lopez e l’onnipresente Giovanni Iaconis, detto “Casu casu”, soprannome del tutto estraneo alla filosofia di Democrito. Tra l’altro Giovanni è noto per la sua preoccupazione, espressa più di trent’anni fa in cima alla Torre Eiffel, di sapere che movimento ci fosse in quello stesso tratto di strada della “patria” di Gioacchino da Fiore e di Mario Oliverio, il concittadino oggi più illustre.
Attorno, ieri, una gioventù partecipe e divertita, tra cui due amici, Salvatore e Maria Pia, presa dai brani eseguiti con incalzante passione dalla band locale, che qui apprezzo a livello pubblico.
In ascolto sostavano esponenti della vecchia guardia della nostra comunità; per esempio l’Antonio dell’Anas cugino di Lopez, che ha mantenuto il sorriso da ragazzino, in contrasto con la mole da marcantonio dei “Puttanella”. Sembrava l’immagine umana di un San Bernardo, del mio Ettore di “Casa Munno”, grande ma buono.
Da “Lupu” a “Ciani”, del “Parto delle nuvole pesanti”, a “Bella figghiola”, che ormai caratterizza il suono battente di Mimmo Cavallaro, gli “Svapurati” hanno tenuto banco per ore, riassumendo, col violino quasi irlandese, la tammorra e l’afflato di Calabria, la storia di un Sud piegato dall’unificazione nazionale, dalla menzogna storica e dall’abbandono di una politica tosco-padana che lascia in ginocchio l’estinto Regno delle due Sicilie.
Nel 1997 lessi su “Venerdì di Repubblica” una buona recensione di “Quattro battute di povertà”, l’album del “Parto” che contiene “Lupu”. Ero su un treno veloce, per la precisione un “Etr 460” diretto a Roma, all’altezza di Orte. Mi soffermai sul valore simbolico di quel lavoro musicale, che negli anni seguenti generò una coscienza identitaria imprevedibile, soprattutto nei primi del 2000. Nel dicembre 2002, insieme a mia “sorella” Maria Grazia Andali, portammo gli scatenati del “Parto” a “Prima Radio Libera”, per un’esibizione dal vivo in favore di una raccolta fondi promossa da “Missione 2000”, dell’eroico don Battista Cimino. Non vi dico l’entusiasmo e la gioia dei ragazzi sangiovannesi, e c’era perfino la diretta di “Sila tv”. Colsi, come poi a Crotone, un senso e bisogno di appartenenza nella nuova generazione, l’orgoglio di essere calabresi e di sentirsi rappresentati non da una forza politica, ma da una formazione musicale che denunciava la marginalità della nostra terra, della nostra gente. In seguito ne parlai a cena con Eugenio Bennato, seduto vicino al maestro d’avanguardia Giancarlo Cauteruccio. Bennato aveva scritto con Carlo D’Angiò il pezzo base del riscatto meridionale, cioè “Briganti se more”, che molti pensano, sbagliando, risalga a una tradizione preunitaria.
A modo mio contribuii a quel tentativo di riabilitare culturalmente l’Italia sofferente alla punta dello Stivale.
Si era consumato da tempo l’omicidio dei giornalisti Giancarlo Siani e Beppe Alfano, nonché del sacerdote profetico don Peppe Diana. I magistrati Rosario Livatino, Nino Scopelliti, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano caduti per mano mafiosa, nell’ambito di una strategia di potere ancora nell’ombra. A Sud era rimasto il desiderio di «uscita dalla minorità», che poi Alfonso Maurizio Iacono indagò partendo da Kant, insieme a un dolore nell’animo da oppressione permanente. Ebbi la possibilità di vivere nel profondo quella stagione di fermento: nella musica, nel teatro, nella poesia. Nel merito ricordo le canzoni politiche dei “99 Posse”, coi quali nacque un’amicizia genuina, e quelle meridionaliste degli “Almamegretta”, che guardavano alla comunanza spirituale e culturale del Mediterraneo; ad esempio “Figli di Annibale” e “Sanghe e Anema”. Nel 2015 ci tenni le mie “Lezioni proibite”, un piccolo ciclo di incontri sull’oblio del Sud, seguiti con certo interesse. E ricordo il successo di “Roccu ‘u stortu”, testo teatrale del calabrese Francesco Suriano, il soldato contro la guerra interpretato dal bravissimo Fulvio Cauteruccio, di cui fui assistente per alcuni semestri. Come ricordo una serata incantevole di settembre, nel 2001, l’anno delle Torri gemelle, nel borgo presilano di Perito (Cs). Lì Peppe Voltarelli e i figli del poeta Ciardullo cantarono alla luna (piena) la ragione di un Sud senza tempo. C’era pure “Casu Casu”.
Ecco, ieri sera per me è stato un ripasso delle esperienze che qui vi ho narrato. Ciò grazie agli “Svapurati” e all’armonia che hanno saputo creare. Infine ho incrociato i consiglieri comunali Angelo Gentile, cui riconosco un acume politico, e Tonino Candalise, “Zorro”, che mi riporta alla figura di mio nonno Emilio, vicino alla sua famiglia e scomparso nel 2002. Con loro, Lopez e “Casu Casu” abbiamo parlato di come va San Giovanni in Fiore, ma senza le tensioni delle risapute divergenze politiche. La musica fa soprattutto questo: unisce, nel senso migliore del termine. Nel clima descritto, tra i ragazzi festosi che ballavano vicino, con “Zorro” abbiamo discusso pure del rispetto dell’umanità degli uomini e dei limiti della giustizia. Fuori del Consiglio comunale, davanti a una birra. Non condivido l’azione, la linea e i metodi della maggioranza di governo locale. Ma forse la serata di ieri ha dimostrato che, al di là delle distinte visioni del mondo, a vantaggio della comunità si può sempre scommettere, restando se stessi, sul potere della musica, sulla bellezza della semplicità e sulla forza di una tradizione che dimentichiamo con incosciente sufficienza.
Ecco chi è François-Xavier Nicoletti, alias Franciscu “A Vurpa”
Ecco chi è François-Xavier Nicoletti, alias Franciscu “A Vurpa”
San Giovanni in Fiore, la crisi politica nel botta-risposta con il dottore Mauro