Nord e Sud: l’eguaglianza nei consumi, la differenza geo-gnostica
Abbiamo gli stessi iPad e Galaxy che acquistano a Milano, Torino e Bolzano. Usiamo l’Adsl, seguiamo le partite di calcio su Sky, telefoniamo in video ai cugini di Toronto, guidiamo con il navigatore, tutti i nostri apparecchi dialogano via bluetooth, cuociamo i cibi con il microonde, portiamo gli orologi che comprano i modenesi non volgari, ci vestiamo Prada e Cavalli come tutti i provinciali sboccati sopra il Po, paghiamo col Telepass l’autostrada di Matteo Salvini, stiamo su Facebook e abbiamo scoperto Twitter. Cinguettiamo.
di Emiliano MORRONE
Non capisco, allora, che cosa ci differenzi dal Nord. Perché noi siamo «terroni» e loro civili, moderni, italiani?
A dire il vero non so se i settentrionali siano più italiani di noi meridionali. Dopotutto i milanesi troncano i vocaboli: per loro – come per il senatore Cinque Stelle Nicola Morra, ligure ma calabrese – «facciamo» diventa «facciam», con notevole risparmio d’aria e velocità di parola. Così, i milanesi ci precedono, arrivano prima alla conclusione. Sintetizzano i concetti a partire dal linguaggio, più asciutto, allusivo; in certo senso simbolico. Per esempio, la loro formula «quella roba lì», al Nord tradotta pure con «il bambino», vuol dire un sacco di cose: esprime in conclusione un intero ragionamento sviluppato in premessa.
Noi del Sud, invece, siamo lunghi, articolati. Riflettiamo quando ci esponiamo in pubblico, cerchiamo di essere precisi, di scegliere con cura ogni termine, sapendo che tra i sinonimi ci sono sfumature di significato.
Deve essere il sole, insieme al mare, che ci porta a questa prudenza, che spesso è un senso interiore d’insufficienza, inadeguatezza; come se cercassimo sempre l’esattezza nel dire, per paura che il nostro interlocutore non colga fino in fondo il senso e la portata dei nostri pensieri. Sì, il sole e il mare dilateranno il corpo, estenderanno i sensi; anche grazie al sale, inalato lungo le coste e senza coscienza.
Chi ha ascoltato la canzone La bambina portoghese, di Francesco Guccini, può, ripetendosela, tentare di rivivere l’annullamento del personaggio descritto nella scena della piccola che procede verso la spiaggia solitaria dell’oceano.
Il caldo del mare e il suo l’orizzonte libero provocano uno smarrimento, una domanda continua; proiettano in un momento l’infinità della natura e la finitudine dell’uomo. È in una situazione simile, frequente per noi meridionali, che si può sperimentare quel viaggio della mente filosofica che cerca in un tempo la verità e l’unità, la conoscenza delle cose. Come nel racconto dell’Aleph di Borges, non a caso ubicato nello spazio ristretto di una cantina, dove non poteva sfuggire la visione totale di ogni elemento, di ogni istante del tempo. La differenza, in questo parallelismo proposto, è che l’Aleph è rinchiuso, custodito, da guardare, mentre la vastità del campo visivo del nostro mare prolunga l’estensione del pensiero e il caldo meridiano preclude ogni possibilità di segnare un riferimento di memoria. Ne consegue che il meridionale ha in genere un atteggiamento proprio di continua ricerca, di continuo vagare.
E poi c’è la montagna del Mezzogiorno; specie quella calabrese, che potremmo paragonare a un lungo costone compatto, riemerso dal Mediterraneo in tempi remotissimi: quando Matteo Renzi non era nei piani degli imprenditori politici e non v’era traccia di clave od enclave.
CONTINUA…
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