L’ora dorme nel seme della mela
Il sindaco Belcastro si dimetterà oppure no? Una riflessione sulla crisi del Pd locale e sul declino politico di San Giovanni in Fiore
A San Giovanni in Fiore tutti (o quasi) si – e mi – chiedono se il sindaco Pino Belcastro ritirerà le dimissioni entro il termine di legge del prossimo 27 agosto. Non credo che sia pura curiosità popolare, in un’estate florense monotona quanto ripetitiva, e stavolta con meno presenze rispetto al passato.
di Emiliano Morrone
Qui il solito “Muzziellu” o l’eroico “Zorro” potrebbero reagire con le battute cui ricorrono per legittimare e mantenere il quieto vivere cui sono affezionati; l’uno da irriducibile di un Pci che l’emerito Giorgio Napolitano ha cambiato a uso degli Usa, l’altro da spadaccino in attesa della patacca sul petto, che arriverà come il Godot beckettiano cantato da Lolli.
Al di là dei bisticci, al Nazareno locale, tra il sindaco e l’“avanguardia” del Pd, di cui adesso fa parte anche Domenico Lacava, passato alla storia politica nostrana per il motto «prima la città», nella maggioranza di centrosinistra c’è un problema politico gigantesco, che travalica i Misciulla e forse neppure il governatore “Pallapalla” riesce a vedere, troppo preso dalla difesa personale nella vicenda del dg Benedetto e delle medicazioni di cartone all’ospedale di Reggio Calabria.
Piove ogni giorno, sicché (ci) manca l’agosto al sole permanente, 24 ore. Ma c’è acqua da tempo nel «capoluogo della Sila», non solo per le vie cittadine da cui si scollano pezzi di marciapiede nuovo di zecca, come documentato dall’attento “Puttanella” con foto eloquente sul suo profilo Facebook.
Invisibili, precari e cooperative del prof. De Marco sono rimasti gabbati da una maggioranza che, con buona pace del nostalgico “Muzziellu”, non distingue più tra ricchizza e pezzentìa e sprofonda nel vizio del selfie scimmiottando i big nazionali o i “comici” Razzi e Bassolino. Il rilancio dell’Abbazia florense, auspicato da più di un decennio, è rinviato alla conclusione della causa civile tra Comune ed rsa nell’edificio religioso; in corso da oltre 11 anni il primo grado, tipo «Freccia rossa» a mo di’ ciucciariellu. Sui beni comuni, cioè gli immobili del municipio belli e pronti o abbandonati «a rotaie implacabili per nessun dove», non c’è stata alcuna discussione in Consiglio comunale, di cui «il mite» Saverio Audia vorrebbe fare il presidente dopo tre anni suonati di «grande silenzio», ode al regista Philip Gröning, tra i banchi della «corazzata Potëmkin».
Intanto, ma si dirà che è dell’Arssa, il campetto da calcio della Scuola alberghiera, chiusa sine die come il rifugio di Botte Donato nella Lorica Hamata in Sila Amena, è diventato il luogo simbolo del «campa cavallo che l’erba cresce», mentre l’“equino” (ancora vincente?) sta a Germaneto di Catanzaro accanto all’altro Apicella. «Omissis».
Il commercio è in ginocchio; i socialisti fratelli “Valotta” si sono divisi in casa, l’uno alle Cuturelle, l’altro chi l’ha visto? Le tasse salgono, lo spopolamento cresce, non c’è un progetto di sviluppo e l’attuazione del Psr pare ormai un «mistero buffo» come l’uscita dal dissesto, propagandata con manifesti memorabili e assieme sputtananti.
Sugli Lsu-Lpu ci restano le fake news di Enzina Bruno Bossio e gli uffici comunali saranno presto il più grosso problema da affrontare, tra pensionamenti alle porte e l’impossibilità, di legge, di prorogare le attuali responsabilità di servizio.
San Martino è vicino, ma il mosto (del Pardici) non diventerà vino. E dal Canäle ‘e Jazzu risuonerà il verso, del sommo poeta Peppino Oliverio, «l’ora dorme nel seme della mela».
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