Coronavirus: il punto sulla Calabria
Mentre scrivo, su Internet rimbalzano i dati calabresi dei contagiati da nuovo coronavirus. Destinati a salire, sono 235: 7 i morti e 89 i ricoverati. Finora a 6.382 ammontano le persone in quarantena volontaria nel territorio regionale. «Almeno 12 mila sono i conterranei scappati dal Nord», aveva precisato la presidentessa della Calabria, Jole Santelli, che ha poi rinfoltito la task force regionale, invocato l’esercito per i controlli, previsto ulteriori limitazioni e chiuso 5 Comuni, diventati zone rosse.
di Emiliano Morrone
«Ci aspettiamo un periodo di picco – ha dichiarato Iole Fantozzi, commissaria dell’ospedale di Reggio Calabria (Gom), al collega Consolato Minniti, di Lacnews24.it – connesso all’esodo di quanti lavoravano al Nord e sono scappati nelle more del Dpcm che ha vietato gli spostamenti dallo scorso 10 marzo. Tra la nuova settimana e la prossima ci aspettiamo il picco epidemiologico». Nello stesso ospedale sono state elaborate delle stime, sulla base di calcoli matematici, che per la fine di marzo prevedono circa 550 contagiati da SARS–CoV–2 e 20 morti nell’intera Calabria.
Lì al Gom hanno agito anzitempo, intanto per prevenire i contagi con l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, per formare il personale sulle precauzioni indispensabili e per allestire un edificio dedicato ai soli pazienti affetti da Covid-19. La commissaria Fantozzi non si è fermata un attimo: ha dimenticato la propria casa nel Cosentino, si è rimboccata le maniche e ha lanciato segnali, appelli chiari anche all’esterno, formulato richieste, organizzato il possibile con piani e iniziative lungimiranti. Al 22 marzo 2020, gli organici sanitari sono ridotti, nonostante la disponibilità di 340 medici – ha informato Santelli – contattati dalla Regione Calabria per assistere i ricoverati.
Nel contempo, nelle altre aziende del Servizio sanitario regionale si è registrata evidente confusione: sia per reclutare il personale indispensabile, sia per impedire contagi nei vari reparti, con il persistente limite della carenza di mascherine idonee, guanti, tute, occhiali e altri strumenti. La commissaria dell’ospedale di Cosenza, Giuseppina Panizzoli, aveva dichiarato di essersi sottoposta a tampone, risultato negativo, dopo il suo ultimo rientro da Bergamo. Il commissario dell’Asp di Crotone, Gilberto Gentili, è invece risultato positivo al virus dopo il suo recente ritorno da Bergamo. Si è quindi messo in quarantena come previsto dalle norme vigenti, ma, ha rivelato un dipendente in un messaggio vocale, «tanti amministrativi della sede direzionale l’avevano incontrato». Ora l’Asp crotonese è retta da un facente funzioni, Francesco Masciari, il quale a Ketty Riga, di Sky Tg 24, ha riferito che 300 dipendenti sono in malattia proprio in questa fase di allerta. Lo conferma un documento della stessa azienda sanitaria. C’è da domandarsi, in proposito, quali raccomandazioni o richiami abbiano rivolto l’Ordine nazionale e quello provinciale dei Medici ai firmatari dei certificati presentati all’Asp di Crotone.
In questo momento, però, molti aspetti sfuggono all’attenzione di addetti ai lavori e opinione pubblica. In buona parte ciò dipende dai mantra «io resto a casa» e «andrà tutto bene», tesi ad alimentare la responsabilità e la fiducia individuale.
Non uscire e non avere contatti sono ormai regole acquisite e radicate. Il punto vero, invece, è che non si considera quanto ospedali e reparti possano rappresentare luoghi di potenziale, elevata diffusione dei contagi. Nel merito persistono i ritardi nel dotare personale e pazienti di dispositivi di protezione individuale e nell’isolare spazi per i casi di Covid-19 accertati o sospetti, al netto della task force istituita dalla presidentessa Santelli e in un contesto di gestione complicata delle aziende del Servizio sanitario calabrese: due, l’Asp di Reggio Calabria e l’Asp di Catanzaro, commissariate per infiltrazioni mafiose e con i vertici, raccontano alcuni operatori, più concentrati sui particolari burocratici e meno sui tempi stringenti dettati dall’emergenza; le altre in amministrazione provvisoria dall’entrata in vigore del cosiddetto “decreto Calabria”, che tra qualche settimana compirà un anno.
Ad oggi non c’è un collegamento visibile tra la task force regionale e le direzioni generali delle 9 aziende del Servizio sanitario regionale, a sua volta commissariato dal governo per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo. All’ospedale di Crotone è stato impegnato per la Medicina d’urgenza il quarto piano, che ospitava i degenti della Chirurgia generale, trasferiti al terzo, assieme dedicato ai pazienti di Ortopedia. Con recente delibera, il sesto piano è stato in parte “requisito” al fine di aggiungere posti letto per infetti. Nei pressi dovrebbe restare l’ambulatorio di Oncologia, in cui si somministrano le chemioterapie.
Francesco Sapia, deputato del Movimento 5 Stelle che siede in commissione Sanità, inascoltato continua a ripetere che «occorre separare i pazienti Covid da quelli non-Covid», perché, rimarca con la sua collega Dalila Nesci, «è proprio negli ambienti sanitari che può espandersi l’epidemia». Possibile, è lecito chiedere, che finora non ci sia un’unica cabina di regia dell’emergenza sanitaria in Calabria, che non ci sia verso di tenere lontani, in posti diversi, le due tipologie di malati e di attrezzare con ventilatori polmonari e personale sufficiente delle strutture di cura per il coronavirus? E infine: perché non puntare soprattutto, per posizione e locali liberi, sul policlinico universitario di Catanzaro? In tutto questo caos, ha senso e ragione che non si sia ancora insediato il nuovo Consiglio regionale?
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