Giovanni Urso, l’uomo che lasciò i carabinieri per la vigilanza privata
SAN GIOVANNI IN FIORE (COSENZA) – Fu tra i primi a raggiungere località Colimiti, sulla Timpa delle Magare vicino Castelsilano (Crotone). Lì il 18 luglio 1980 – il 27 giugno, secondo altre fonti – era caduto un Mig23 dell’Aeronautica militare libica, poi collegato alla strage di Ustica.
di Emiliano Morrone
Poco più che diciottenne, Giovanni Urso, detto “L’americano”, era appena entrato nei carabinieri, in servizio a Caccuri, nei pressi del sinistro. Il militare si mise in macchina e raggiunse alla svelta il luogo in cui era precipitato quel caccia intercettore di fabbricazione sovietica. «Ci avevano avvertito, dunque corsi sul posto. Dovetti avventurarmi tra sterpi ed erbacce, con la pistola in mano e il timore delle vipere, attratte col caldo dalla fiumara di sotto», racconta l’ex appartenente alla Benemerita, da poco in pensione dopo aver mollato quel posto pubblico per fondare e dirigere un istituto di vigilanza privata.
Della vicenda Urso ricorda poco: soltanto che «il Mig era in pezzi»; che «l’area era sempre sorvegliata e nessuno poteva avvicinarsi»; che «il pilota dell’aereo sembrava morto da parecchio»; che «a occhio quel fatto appariva anomalo, strano, sospetto»; che «ai carabinieri fu poi impedito di avvicinarsi»; che un giorno gli venne puntato un mitra contro, sul luogo dell’accaduto.
Nel 2007 il presidente emerito Francesco Cossiga dichiarò che il DC-9 piombato nel mare di Ustica era stato preso per errore da un missile francese, nel tentativo di abbattere un velivolo libico su cui si sarebbe trovato Mu’ammar Gheddafi.
È ormai sepolto il mistero di quel caccia finito nella scarpata di Colimiti, del cui recupero si era interessata la Fiat, date le pressioni di Gheddafi, riferite da Cesare Romiti, all’epoca amministratore delegato della casa automobilistica. Urso restò al di fuori delle investigazioni, delle notizie e degli sviluppi del caso, perché aveva un sogno già da ragazzino: occuparsi di vigilanza per conto proprio. Forse quell’episodio di Castelsilano lo convinse a dimettersi, a concentrarsi per raggiungere il suo obiettivo, a rischiare lasciando il certo per l’ignoto, pur consapevole che, in termini probabilistici, un altro aereo da guerra non si sarebbe schiantato sul suolo locale.
Così, intorno alla metà degli anni Ottanta, Urso si trasferì a Crotone, in quel periodo funestata da faide di ’ndrangheta, con attentati, esplosioni, sparatorie e omicidi all’ordine del giorno. «Ci voleva fegato, pelo sullo stomaco, resistenza, per continuare in quelle condizioni – racconta Urso – e farsi le ossa da guardia giurata, ma io volevo acchiappare i ladri, mi sentivo portato e non volevo mettere la retromarcia per tornare al passato, anche se avevo un rispetto assoluto per l’Arma e un grande senso di lealtà e appartenenza, che ho mantenuto».
Nei primi anni Novanta Urso tornò a San Giovanni in Fiore: i tempi erano maturi per partire con la vigilanza in proprio. Da qualche anno era nata la televisione locale, Sila Tv, per iniziativa del compianto editore Antonio Oliverio, chiamato “Berlusconi”. Le attività commerciali crescevano grazie alla pubblicità, l’economia girava per la presenza di numerosi impiegati statali e dunque il clima era più che favorevole. Pertanto, l’ex carabiniere curò la parte tecnica e burocratica, sottoscrisse diversi contratti preliminari necessari all’autorizzazione e nel 1996 partì in via ufficiale con il proprio istituto di vigilanza.
Il sogno di una vita si era avverato, anche grazie all’attiva collaborazione del figlio Salvatore, giovane economista, dinamico, riflessivo, concreto. Con tenacia e sacrificio, Urso iniziò ad allargare il portafoglio clienti, soprattutto tra San Giovanni in Fiore e Camigliatello, sicché divenne un punto di riferimento per i commercianti locali. Riuscì quindi a posizionarsi, assunse più dipendenti e lavorò anche per enti pubblici, a partire dalla sede Inps di San Giovanni in Fiore. “L’americano” si dedicò senza sosta alla sicurezza, con orari di lavoro estenuanti e un vasto territorio da controllare. Anche durante gli inverni rigidi, con grandi nevicate o temperature a due cifre sottozero, l’uomo non si fermava, spostandosi nella neve con la storica Panda 4×4; «un mezzo invincibile», scandisce.
Grazie alla sua statura imponente di oltre un metro e 90, Urso avrebbe potuto fare il corazziere presso la Presidenza della Repubblica, ma scelse di seguire il suo sogno imprenditoriale. Nonostante le difficoltà economiche, determinazione e fiuto lo aiutarono a portare avanti un’attività che assicurò lavoro, redditi e contributi a diverse persone e gli permise di mantenere la famiglia, di mandare i figli all’università. Durante il periodo del Covid, poi, Giovanni e il figlio Salvatore si impegnarono per garantire gli stipendi ai dipendenti, creando un ambiente solidale per affrontare quei due anni di ansia, paura, smarrimento.
Ora che è in pensione e che non ha più la propria impresa, Urso guarda al passato con nostalgia, consapevole che le tecnologie moderne hanno reso il mestiere più facile ma meno appassionante. «I nostri clienti – conclude – non hanno mai subito un furto. Negli anni abbiamo invece sventato, specie di notte, tentativi di rubare altrove: all’interno di supermercati, parrocchie e perfino case. Allora non c’erano sofisticati sistemi di videosorveglianza, quindi contava il talento, il senso del dovere. Oggi anche questo lavoro è, per così dire, automatizzato. Non so dove stiamo andando, ma sono sicuro che nessun hardware e software potrà sostituire la mente e il cuore dell’essere umano».
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