Sciascia, Grillo, Casaleggio e il superamento dei partiti
Una riflessione inedita, un collegamento pertinente, una direzione più che attuale
C’è qualcosa di più profondo, oltre alla paura della verità, nel silenzio dei governanti di fronte a precise questioni poste da cittadini, comitati, associazioni e minoranze. Pensate alla velocità con cui, invece, chi ha un mandato di potere, per definizione di rappresentanza o servizio pubblico, risponde alle richieste dei superiori di partito. Assessori sugli attenti quando chiama il presidente; dirigenti che su ordine del solito gerarca firmano atti fondati su presupposti sbagliati o addirittura falsi, che violano le regole comuni oppure ne inventano di nuove per giustificare abusi e porcherie.
di Emiliano Morrone
Allora bisogna in questi casi pensare a due elementi: alla radicata sudditanza degli amministratori pubblici rispetto ai capi politici; al fatto che gli stessi amministratori non riconoscono alcun vincolo, alcun limite nel loro ufficio: né nelle leggi, né nei princìpi dell’ordinamento, né nelle istituzioni di controllo. Significa, in sintesi, che costoro abitano a palazzo per soddisfare esigenze di un apparato organizzato e diretto dai partiti. Vuol dire che il sistema è strutturato in partenza contro il bene comune e a beneficio di tesserati, adepti, portatori di voti e semplici ruffiani.
È un po’ la scoperta dell’acqua calda, si potrebbe concludere. Nulla di nuovo sotto il sole, se ricordiamo l’osservazione di Leonardo Sciascia, per il quale «ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete», in cui «una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora d’incolpare un innocente».
La descrizione di Sciascia mi riporta alla vicenda di Gianluigi Scaffidi, già dirigente regionale del Piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, cacciato dalla politica (di centrodestra) perché pretendeva il rispetto delle norme sui fondi in transito alle Aziende sanitarie.
Il passo dello scrittore siciliano mi rievoca pure il caso della nomina di Santo Gioffrè alla guida dell’Asp di Reggio Calabria in veste di commissario straordinario, benché la legge lo vietasse in modo chiaro. Infatti, nel quinquennio precedente il prescelto dalla giunta regionale era stato candidato sindaco di Seminara (Rc), nel comprensorio della stessa Azienda sanitaria. Dovette intervenire l’Autorità nazionale anticorruzione – nell’ostinato immobilismo del governatore della Calabria, Mario Oliverio, cui la deputata 5stelle Dalila Nesci ne aveva formalmente chiesto la revoca – che deliberò: «Sussiste l’inconferibilità per l’incarico (…) e, di conseguenza, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 39 del 2013, l’atto di conferimento dell’incarico ed il relativo contratto devono essere considerati nulli, con i conseguenti obblighi da parte del responsabile della prevenzione della corruzione della regione Calabria di procedere alla contestazione della inconferibilità ai sensi dell’art. 15 del medesimo d.lgs. 39/2013».
Nella mia datata opposizione culturale al sistema di potere dei partiti, ho spesso insistito su un testo fondamentale di Michel Foucault, Il coraggio della verità, che mi sembra una sorta di bussola per l’azione politica. Il libro riporta le ultime lezioni del filosofo, già malato, al Collège de France. In proposito la domanda centrale di Foucault, si legge in una sintesi del volume, «ruota intorno alla funzione del “dire-il-vero” e al ruolo che la verità riveste nell’ambito della politica e dei rapporti di potere». «Si tratta in sostanza – prosegue la sintesi – di stabilire, nell’ambito della democrazia, un certo numero di condizioni etiche che sono irriducibili alle regole formali del consenso ma che fanno appello alla dimensione morale individuale: il coraggio di fronte al pericolo e la coerenza».
Si è molto discusso sull’operato del Movimento 5stelle in parlamento e assai meno di quello fuori della Camera e del Senato. Qualcuno continua a ripetere che i “ragazzi” di Beppe Grillo abbiano perduto un’occasione d’oro rifiutando di governare con il Pd di Pierluigi Bersani. Il fatto, invece, è che Bersani – e intanto l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – non ha mai proposto e voluto un governo M5s. Altri sostiene che la carica dei 5stelle si sia fermata o smorzata con l’ingresso in parlamento, che il Movimento abbia assunto atteggiamenti e logiche da partito e che abbia vanificato le premesse preelettorali di condivisione e critica radicale. Tali addebiti sono più spesso la meccanica ripetizione di giudizi di opinionisti noti, non neutrali e sovente schierati con quelle che Sciascia chiamava «fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo». Il punto è uno: 5stelle non ha mai ceduto alla potente tentazione di costruire alleanze, sodalizi, accordi di potere con il sistema dei partiti.
Il mestiere dell’opposizione è duro: perché la tua voce è soffocata, le tue parole sono strumentalizzate, le tue denunce e proposte vengono ridicolizzate – il che, per esempio, è capitato in Calabria alla sempre attiva deputata Nesci – oppure liquidate con un rinvio a episodi del tutto esterni. Soprattutto, in questo momento storico chi fa opposizione può – per citare il Tano Badalamenti del film I cento passi – «continuare a ragliare come i cavalli, come gli scecchi», perché la maggioranza prescinde dalle norme, in primo luogo costituzionali, e in parlamento pone la fiducia quando deve favorire potentati o perpetuare se stessa; si veda l’epilogo del confronto sulla nuova legge elettorale.
Altre volte le “imputazioni” al Movimento 5stelle provengono da soggetti che si aspettavano una chiamata, un posto, un incarico, una collocazione a palazzo. Costoro hanno dimenticato in fretta l’incessante e coraggiosa attività di parlamentari, di sindaci, di altri eletti e di utopisti legati all’obiettivo indicato da Grillo e da Gianroberto Casaleggio, che è, se posso sintetizzare a modo mio, il superamento definitivo di quelle «fratellanze, specie di sette che diconsi partiti», le quali hanno prodotto terribili diseguaglianze e accettato per opportunismo lo smantellamento dello Stato come garante dei diritti, dei servizi pubblici e della realizzazione della persona umana.
Da qui in avanti bisognerà diffondere con rinnovata fermezza la necessità che il governo del Paese, cui 5stelle si è candidato, richiede autonomia, indipendenza e dunque l’immediato rigetto naturale della morsa, dei ricatti e degli affari dei partiti.
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