L’antimafia nelle scuole: alla Camera c’è una proposta di legge
Venerdì 26 maggio la deputata 5stelle Chiara Di Benedetto, capogruppo in commissione Istruzione, presenterà alla Camera, nella Sala Tatarella alle ore 10,30, una proposta di legge per introdurre nelle scuole l’insegnamento della storia dell’impegno antimafia. Interverranno anche Salvatore Borsellino, il procuratore Pierpaolo Bruni, don Giacomo Panizza e il collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, ex boss di ‘ndrangheta che racconterà del suo pentimento.
di Emiliano Morrone
Data l’importanza dell’iniziativa, con domande di largo respiro abbiamo approfondito alcuni temi correlati insieme a Di Benedetto, Panizza e Borsellino.
Deputata Di Benedetto, che cosa differenzia la tua proposta di legge in tema di antimafia nelle scuole?
La differenza rispetto alle proposte di legge del passato, decadute e maturate in un contesto di minore consapevolezza del peso economico delle mafie, sta nell’estensione, sul piano didattico-formativo, del concetto di fenomeno mafioso. Mafia, per l’insegnamento che si vuole introdurre, non è solo Riina, Condello, Messina Denaro o il clan dei Casalesi. Nella nostra pdl mafia diventa allora ogni organizzazione che sottrae illecitamente risorse pubbliche e altera l’economia privata e il sistema pubblico. Il concetto arriva, dunque, anche alle distorsioni bancarie, di cui un esempio sta nell’uscita di scena dell’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, nel 2012 condannato in via definitiva per aggiotaggio nel processo sulla tentata scalata ad Antonveneta da parte della Banca Popolare di Lodi, oppure nella pesante usura subita, e riconosciuta in Cassazione, dall’imprenditore calabrese e testimonial antimafia Antonino De Masi, legato all’associazione “Libera”.
Quali gli obiettivi della specifica proposta di legge?
Essa punta a far entrare nelle scuole delle figure simbolo dell’antimafia e la storia del loro impegno. I ragazzi degli anni 2000 non hanno vissuto l’epoca delle stragi di Capaci, Palermo e Firenze. Di Falcone e Borsellino hanno un racconto solo televisivo. Inoltre la tv ha involontariamente determinato, specie a Sud, una specie di celebrazione della figura del boss. Penso al “Capo dei capi”. Da lì si è sviluppata, come dato di fatto, una sorta di esaltazione diffusa del capomafia. Questo ha trovato riscontro, per esempio, nelle carte della recente inchiesta “Six Town”, del procuratore Nicola Gratteri e della Dda di Catanzaro, in cui si leggono intercettazioni che rivelano l’eccitazione e ammirazione di giovanissimi per il potere ‘ndranghetistico.
Si tratta di un intervento parlamentare per responsabilizzare la scuola?
Bisognava intervenire nelle scuole, anche raccogliendo l’appello alla coesione antimafia che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha lanciato a Locri all’ultima Giornata nazionale delle Vittime di mafia; da un luogo, la Calabria, in cui si è esaurita la spinta dei movimenti che tra il 2007 e il 2009 provarono a veicolare una cultura dei diritti e di sostegno alla magistratura. La proposta di legge in argomento dovrebbe trovare il favore di tutte le forze politiche. Lavoreremo per questo obiettivo. Infatti, il contrasto della criminalità è affare della giustizia e delle forze dell’ordine, ma anche una questione propria della scuola italiana, che deve fornire strumenti interpretativi e modelli di vita alternativi al boss, al delinquente, al politico disonesto.
Ho letto che la proposta prevede anche un premio particolare…
Per incentivare l’impegno degli studenti, nella pdl – che per eventuali integrazioni dei nostri iscritti inseriremo sul sistema “Lex” del Movimento 5stelle – abbiamo proposto un premio, denominato “Premio per il coraggio della verità” e legato alla cerimonia di chiusura del “Premio Alfieri del Lavoro” alla presenza del presidente della Repubblica. Ciò anche con l’obiettivo di avvicinare gli studenti alle istituzioni.
Introdurre oggi la storia dell’antimafia nelle scuole ha per te più presa?
Lo specifico intervento politico-culturale ha molto senso oggi, più che in passato, perché magistrati, giornalisti, scrittori, civili e religiosi hanno prodotto pubblicazioni e reso testimonianze che hanno contribuito ad alimentare la sensibilità antimafia e la riprovazione pubblica dell’azione criminale.
DON GIACOMO PANIZZA
Don Giacomo Panizza, il tuo lavoro antimafia è sul campo, difficile ma intenso ed appagante. La Calabria, come sperimenti ogni giorno, è luogo di forti contraddizioni: bellezza e crudeltà, ignoranza indotta e fame di conoscenza, silenzio e voci coraggiose, emigrazione e desiderio di restare per costruire. Oggi la Calabria è forse metafora di una realtà nazionale globalizzata, in cui la criminalità penetra nelle istituzioni, altera la libera concorrenza e impedisce la realizzazione della persona umana. Vorrei una tua riflessione in proposito, partendo dalla bussola del Vangelo.
La Calabria dovrebbe imparare dalla sua Storia di mondialità. Tanti sono andati via dalla regione proprio per non sottomettersi alle mafie, sistemandosi come imprenditori, docenti, artigiani, professionisti. Bisogna che la Calabria guardi al di fuori di se stessa, verso i propri emigrati, chiedendosi se è possibile costruire una libertà, non una liberazione soltanto. Certamente il Vangelo contiene i temi di popolo, i temi di persona, i temi di libertà. Facciamo dunque a meno delle tradizioni religiose imposte e chiuse, utilizzate in passato pure dalla Chiesa stessa, che a braccetto coi potenti ha prodotto pratiche unificanti, di difesa, addirittura di sottomissione. Il Vangelo andrebbe vissuto nel concreto e nel quotidiano, e non soltanto per prendere le distanze come per la vicenda del Cara di Isola Capo Rizzuto. A prescindere dall’inchiesta, lì tutti sapevano che i soldi erano tanti e vi stavano migliaia di persone ammassate. Perciò non c’era spazio per l’umanità, per l’aiuto per il Vangelo. I migranti venivano controllati, piuttosto che liberati. Il Vangelo è, invece, liberazione.
Anche da scrittore ti sei dedicato tanto alla pedagogia antimafia. Che cosa serve per una pedagogia antimafia efficace e come si possono coinvolgere i più giovani, non di rado sedotti dal successo a tutti i costi, bombardati da messaggi culturali di prevaricazione oppure allontanati da un progetto di vita rivolto al bene comune?
Pedagogia antimafia è raccontare la realtà storica dei clan mafiosi, che hanno tutti i fallimenti. È vero che possiedono denaro, ma anche ora ne hanno messo dentro 52 di quelli che mi volevano uccidere, del clan Torcasio. Volevano diventare i capi e realizzare una nuova strage di Capaci e via d’Amelio. Bisogna dire ai giovani che stando nella ‘ndrangheta hanno i giorni contati: o si uccidono tra di loro, o vanno a finire in galera, o sono costretti a nascondersi. Non importa che abbiano il televisore o il telefonino. Provate voi ad andare sotto terra con il televisore o il telefonino, oppure con i soldi che non si possono utilizzare. Non è una bella vita. Bisogna poi spiegare ai giovani che i mafiosi li ingaggiano, li usano e dopo li gettano. Tra gli arrestati nella recente operazione “Crisalide” ci sono quelli che avevano piazzato le bombe davanti ai negozi, quelli che nel luglio scorso hanno avevano bruciato il nostro campo a Lamezia Terme. Tutti catturati. Va detto ai giovani che non si va lontano con la mafia, nemmeno conviene. Gli affiliati agiscono con la prepotenza, la prevaricazione, la pistola. Non sono modelli umani da seguire. Nella pedagogia e nella didattica è importante stimolare i ragazzi perché divengano capaci di agire da adulti, insieme agli altri. Va condotta una pedagogia che formi gruppo; in parrocchie, partiti politici, movimenti. Servono luoghi e momenti di capacità di polis, di futuro, di servizio. Bisogna avere una visione collettiva.
Quali sono, sulla base della tua lunga esperienza, gli strumenti più adeguati perché i più giovani camminino in autonomia, con responsabilità e con la passione dell’impegno civile? In proposito, che ruolo possono avere la scuola e la Chiesa?
Bisogna voler bene alla scuola. Per esempio, se non ci sono i termosifoni, occorre farli funzionare. Alludo al fatto di insegnare a vagliare le cose proprie dell’età. Vanno formate intelligenze libere e creative, progettuali. C’è invece la tendenza ad avere intelligenze rassegnate. Va promossa una pedagogia di senso, di logica, di ragionamento, di idee chiare, distinte. Una pedagogia non fatta soltanto di banchi di scuola, ma di esperienze. Le esperienze della vita. Da poco abbiamo presentato le attività di scuola lavoro, insieme al liceo di Lamezia. I ragazzi sono stati contenti di imparare facendo. Nella pedagogia di oggi credo che sia importante usare il telefonino, Internet e i nuovi strumenti di connessione. Ma bisogna anche puntare sul dialogo, sulla discussione. Un tempo non c’erano le connessioni, ma oggi, si fa troppa connessione senza invece discutere, senza guardare negli occhi le persone. Io posso imparare a fare popolo vivendo insieme agli altri. In merito alla scuola, le scuole sono ridotte a fare contabilità, più che pedagogia. Dirigenti e docenti hanno molto capito, però, che cosa davvero servirebbe: una pedagogia che aiuti le intelligenze a diventare individuali ma non individualistiche, intelligenze libere e critiche. Nella Chiesa, invece, non abbiamo un disegno grandioso come negli anni Cinquanta, in cui educavamo i Moro, i Fanfani. Ma la Chiesa ha capito, specie dopo l’uccisione di alcuni preti, che nel catechismo si deve parlare più di giustizia, che nelle prediche si deve parlare più di legalità, che di fronte allo Stato si deve parlare più di leggi giuste, non complicate, farraginose.
Che messaggio puoi lanciare agli studenti, ai ragazzi che, nonostante i tempi attuali, dovranno costruire il futuro dell’Italia?
Io penso che ci capiamo quando parliamo di parlare di essere più liberi. Nei clan mafiosi non diventano più liberi e più felici. Insegniamo a desiderare la libertà e la felicità insieme, non da soli. Io propongo ai giovani di fare politica direttamente, o indirettamente. Per esempio, al tempo dell’Aids non c’era il reparto di Infettivologia a Lamezia Terme, allora dovetti andare a protestare insieme agli omosessuali, ai tossicodipendenti. Ecco, la politica è importante farla, perché che avvantaggia tutti e tutti. Spenditi per chi come te ha lo stesso diritto, lo stesso problema, la stessa aspirazione. Questo è il mio messaggio.
SALVATORE BORSELLINO
Salvatore, tuo fratello Paolo Borsellino disse che “la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Quali ostacoli ha incontrato negli anni, a tuo avviso, il “movimento culturale che coinvolgesse tutti”, auspicato da Paolo?
Credo che il più grosso ostacolo a questo movimento si stato soprattutto dalla carenza, all’interno delle nostre scuole, di adeguati programmi per lo studio e la conoscenza del periodo più recente della storia del nostro Paese. I programmi scolastici si fermano, quando va bene, alla fine della seconda guerra mondiale. La conoscenza dei tanti punti neri della nostra storia e di chi a questa situazione ha reagito spesso anche con il sacrificio della propria vita, è affidata alla lettura e alle ricerche personali di chi vuole ampliare tali conoscenze. Intanto la televisione è diventata soltanto un veicolo di intrattenimento ludico e di diffusione di messaggi distorti. La politica tende piuttosto a dare esempi di compromesso morale e di contiguità. Nelle generazioni adulte dilaga l’indifferenza tanto paventata da Paolo.
Tu vai molto nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi del sapere e dell’educazione delle coscienze. Parli di lotta civile, di legalità, di speranza. I giovani nati dopo le stragi degli anni Novanta spesso non conoscono i fatti e i misteri dell’epoca, forse anche per via di una certa riluttanza istituzionale rispetto a una formazione scolastica che includa la storia del sangue versato da magistrati, giornalisti, civili e religiosi in nome dello Stato di diritto, della libertà e della democrazia. Che cosa è possibile fare, per recuperare il terreno perduto?
Paolo sottraeva parte del poco tempo che gli lasciava l’impegno incessante del suo lavoro per andare nelle scuole a parlare ai giovani. Lo stesso faceva Rocco Chinnici; lo stesso Carlo Alberto Dalla Chiesa. Io, ricordando quanto mi disse nostra madre dopo la morte di Paolo, ho scelto di dedicare quanto mi resta da vivere per parlare non più agli adulti, ma ai giovani. Erano la speranza di Paolo e sono oggi la mia speranza. Dunque vado da loro, che sono capaci di ascoltarmi per tre ore si seguito nell’attenzione più assoluta. Non solo per dare loro qualcosa ma anche per prendere da loro la forza per continuare la mia lotta. Mi lascia stupiti la sete che hanno di conoscere cose di cui nessuno parla loro, che non leggono sui giornali, che non vedono alla televisione ma che intuiscono essere la causa della precarietà del Paese in cui vivono e dell’incertezza del futuro. I loro insegnanti fanno spesso i salti mortali per inserire all’interno di programmi che non lo prevedono argomenti e conoscenza per i quali questi ragazzi, che tanti denigrano, sono invece particolarmente assetati. Gli esempi di chi ha lottato per i valori fondamentali contenuti nella nostra Costituzione sono fondamentali e non possono. Tali esempi devono fare parte dell’insegnamento che viene impartito nella scuola pubblica.
Il tuo attivismo antimafia è prezioso per le nuove generazioni, che più volte hanno davanti a loro modelli di vita imposti dal potere dominante: il corrotto, il boss, la velina, il tronista, il delinquente. Che messaggio puoi lanciare agli studenti, ai ragazzi che, nonostante i tempi che corrono, dovranno costruire il futuro dell’Italia?
La televisione di Stato è la principale responsabile degli stimoli negativi da cui questi giovani sono bombardati. La vita viene presentata come un concorso a premi in cui la conoscenza di argomenti di assoluta futilità può dispensare premi che vengono somministrati a pochi ma che illudono molti. Le tante gare di ballo, di cucina, di finta sopravvivenza fanno vedere la vita stessa come agone in cui bisogna prevalere sull’altro per emergere. Non è valorizzata la cooperazione e la solidarietà. Fa il resto il bombardamento di fiction che esaltano chi arriva al potere e al denaro; fosse pure un eroe negativo, un boss mafioso, il capo dei capi. A questi ragazzi, che forse pertanto mi ascoltano, racconto quali sono state le scelte sbagliate – o che avrebbero potuto essere diverse – della mia vita, così che non debbano fare scelte sbagliate anche loro. Li esorto a chiedere a quei politici che li illudono col motto «il futuro è vostro», quali ne siano stati gli sbagli che hanno determinato un presente così incerto e un futuro ancora più nero. E chiedo loro non ignorare la politica ma di essere attivi, di partecipare a movimenti ed aggregazioni di giovani, per restituire pulizia alle istituzioni elettive. Diffidiate, ragazzi, da chi, attraverso le sirene della rottamazione, alla fine ha cercato soltanto di rottamare, oltre che la scuola pubblica, anche la nostra Costituzione.
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